L’abbattimento delle statue sembra essere l’ultima moda occidentale, nata nello stato della contraddizione: del lusso e della povertà, del successo e dell’abbandono dei più deboli, dei diritti sociali e degli abusi di potere, come quello subito da George Floyd, uomo afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis durante un arresto violento. Così i manifestanti del movimento Black Lives Matter, dagli USA a Londra, hanno iniziato una guerra contro i miti del razzismo e gli fa eco in Italia il collettivo “Restiamo Umani”, la querelle sulla statua di Indro Montanelli a Milano, ma anche il meno noto busto di Antonio Baldissera al Pincio nella Capitale.
Dove possa portare questa folle deriva non è dato sapere, si salverà la statua equestre di Marco Aurelio al Campidoglio? Imperatore di un impero schiavista ed egli stesso sfruttatore di schiavi? Per l’unica statua equestre di epoca classica giunta integra fino a noi – passò indenne il periodo medievale perché tutti credevano che fosse la statua di Costantino, primo imperatore cristiano – è arrivato forse il momento di essere tirata fuori dai Musei Capitolini, presa da Palazzo dei Conservatori e gettata nel sempre meno biondo Tevere? Così finalmente quello che sfuggì al bigottismo religioso medievale potrà essere definitivamente sistemato dal nuovo bigottismo illuminato del politicamente corretto.
Tuttavia non si farebbe un buon servizio alla Storia; l’approccio moralistico non consente di percepire la Storia nella sua complessità; se è necessario revisionare, dubitare e sfatare miti, è tuttavia fondamentale non cancellare quei miti stessi. Come sostenuto dal Prof. Barbero, la conquista delle Americhe è contemporaneamente una grande avventura occidentale ed una immane tragedia per i nativi colonizzati. Non è possibile sanificare questo evento storico, deve essere compreso nella sua complessità, l’epurazione del passato è una forma di discriminazione per chi ha abitato un altro luogo, non geografico ma storico. Nell’abbattere la statua di Colombo si perde la prospettiva storica, stiamo assistendo ad una vera riduzione di tutti i tempi storici ai nostri tempi, all’affermarsi di una visione etnocentrica che pone alla base del giudizio sulle epoche passate un astratto moralismo, che si configura come valore universale.
L’analisi moralistica sembra ignorare il senso artistico, letterario, economico, filosofico e generalmente culturale della Storia. Anche le persone vengono giudicate nella specificità di alcune azioni, perdendo di vista il contesto generale vengono ridotte a poche affermazioni o azioni. Questa caccia alle statue, nel tentativo di rendere la cultura conforme alla nostra epoca, inevitabilmente la impoverisce.
Un discorso a parte meriterebbe la statua di Montanelli, poiché il giudizio sul giornalista non riguarda un tempo passato e lontano, ma la contemporaneità; ancora nel 1982 definiva la sua sposa bambina un “animaletto docile”. Inoltre il codice penale, approvato con Regio Decreto nel 1930 nell’Italia Fascista (prima della guerra al Negus a cui partecipò Montanelli), stabiliva già che i rapporti con bambini inferiori ai 14 anni dovevano essere considerati delle violenze sessuali. Il giovane Montanelli, quindi, era ben cosciente che avere rapporti con una dodicenne, anche se rispondeva alle usanze del luogo, era contrario alla legge (credo questa sia anche la motivazione per cui nelle successive versioni della storia parla di una quattordicenne).
È giusto tuttavia anche capire il rapporto del madamato: si trattava in sostanza di una forma distorta di matrimonio a termine che riprendeva le usanze eritree; le “nozze per mercede” erano nell’uso eritreo, ma definivano i vincoli e gli obblighi, soprattutto del marito, nei confronti della moglie e dei figli. Per gli italiani fu poco più che una forma di prostituzione legalizzata. I Generali preferivano che le truppe istaurassero questo tipo di unioni per evitare la frequentazione delle prostitute locali, che rappresentavano una forte minaccia per la contrazione delle malattie veneree, in particolare della sifilide.
Su una cosa Montanelli ha ragione: fatta la scelta del madamato, l’età delle spose era inevitabilmente bassa, perché quelle più grandi erano già andate in sposa. Nonostante con l’affermarsi del razzismo fascista si giunse a vietare il madamato dal 1937, questo fenomeno non sparì del tutto – le navi di prostitute italiane e poi marsigliesi (in un primo momento il regime inviò prostitute italiane, poi temette per la reputazione delle donne italiane nelle colonie e inviò le marsigliesi) non riuscivano a soddisfare l’esuberanza dei soldati in Africa).
Sia il madamato che il ricorso alla prostituzione locale rimasero molto in voga, come elevati rimasero i rischi di contrarre malattie infettive e di generare figli illegittimi – in un sola giornata ad Asmara si esaurivano le scorte di contraccettivi che arrivavano dalla Patria – i bambini mulatti non venivano riconosciuti né come Italiani né come abissini ed erano costretti a vivere in un limbo di indeterminatezza.
Ora tutta questa tristissima situazione evade dalla semplice responsabilità individuale e non è certo ergersi a integerrimi moralisti il modo migliore per comprendere le dinamiche storiche; tuttavia il fatto che un vecchio canuto, dopo molti anni, parli di queste vicende, di cui è stato triste protagonista, con malcelata soddisfazione e arrogante sfrontatezza, arrivando a definire un essere umano, una bambina di dodici anni (o forse quattordici), un “docile animaletto” è veramente disgustoso.
Detto ciò, la statua credo sia bene resti dove si trovi; Montanelli resta un buon giornalista dotato di una discreta cultura generale, di uno stile accattivante e un’insuperabile capacità di sintesi che sfocia spesso nell’ironia, come negli insuperabili corsivi irriverenti e politicamente scorretti, tipo quello che riporto:
Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di Laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all’Inghilterra, o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi rivoluzionari, che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano.
(Controcorrente, 3 marzo 1978)